Bullettin Contenzioso

Diritto Processuale Civile


I requisiti della procura speciale nel ricorso per cassazione.

La Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 2075 del 19 gennaio 2024, ha affrontato la questione del conferimento della procura speciale per la proposizione del ricorso per cassazione, esaminando in particolare se questa possa essere rilasciata anche in data antecedente alla redazione del ricorso e in luogo diverso da quello indicato nell’atto stesso. In merito, la Corte ha chiarito che il requisito della procura, di cui agli artt. 83, comma terzo, e 365 cod. proc. civ., non richiede la contemporaneità del suo conferimento rispetto alla redazione dell’atto a cui accede. È sufficiente che essa sia congiunta, materialmente o mediante strumenti informatici, al ricorso e che il conferimento non avvenga prima alla pubblicazione del provvedimento da impugnare né dopo la notificazione del ricorso stesso.

L’autonomia del giudizio di merito rispetto ad un procedimento cautelare.

La Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 1120 del 11 gennaio 2024 ha ribadito che il giudizio di merito susseguente ad un procedimento cautelare anticipatorio è, rispetto a quest’ultimo, del tutto autonomo e, come tale, non può essere in alcuna misura dipendente da esso, dal suo esito e dal rispetto delle relative forme procedurali. La Corte, infatti, ha precisato che, a differenza del giudizio di merito – che, come noto, è finalizzato ad accertare un diritto e, se del caso, ottenere la relativa sentenza di condanna – il procedimento cautelare dà luogo ad un provvedimento non decisorio il quale, per sua stessa definizione, non accerta, non condanna e, quindi, tecnicamente “non giudica”, ma si limita ad emettere le misure necessarie a conservare l’utilità del futuro giudizio dichiarativo.

Le Sezioni Unite sul rapporto tra domanda riconvenzionale e mediazione obbligatoria.

La Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con la recente decisione n. 3453 del 7 febbraio 2024, ha risolto l’annosa questione riguardante l’obbligo di esperire la mediazione obbligatoria di cui all’art. 5, D. Lgs. del 4 marzo 2010 n. 28 in relazione alle domande riconvenzionali. In particolare, nel distinguere preliminarmente tra domande riconvenzionali c.d. “non eccentriche” – ossia le domande connesse con l’oggetto della lite – e le domande riconvenzionali c.d. “eccentriche” – ovverosia quelle che ampliano l’oggetto del giudizio senza connessione con quello già introdotto da parte attrice – la Suprema Corte ha precisato che la condizione di procedibilità di cui al summenzionato articolo sussiste per il solo atto introduttivo del giudizio e non si applica con riferimento alle eventuali domande riconvenzionali. Pertanto, conclude il giudice di legittimità, una nuova mediazione susseguente alla domanda riconvenzionale non realizzerebbe il fine di operare un filtro al processo, essendo il Giudice già stato investito della controversia introdotta dall’attore.

Il rimborso delle spese processuali nel caso di chiamata in causa del terzo.

Con l’Ordinanza n. 6144 del 7 marzo 2024, la Corte di Cassazione ha stabilito il principio secondo cui il rimborso delle spese processuali sostenute dal terzo chiamato in causa dal convenuto deve essere posto a carico dell’attore se la chiamata in causa si sia resa necessaria dalle tesi sostenute da quest’ultimo, e queste siano risultate infondate. In particolare, secondo la Suprema Corte, non assume alcuna rilevanza il fatto che l’attore non abbia formulato domande direttamente nei confronti del terzo chiamato; se la chiamata in causa risulta infondata, o palesemente arbitraria – integrando in tal modo un esercizio abusivo del diritto di difesa – le spese restano a carico della parte che ha promosso (o ha fatto promuovere) la suddetta. Tale principio, inoltre, si applica non solo nei casi di chiamata in garanzia ma, in linea generale, anche in tutti i casi in cui il convenuto chiama in giudizio un terzo al fine di evitare la propria condanna, specialmente quando non è prevista l’estensione della domanda principale dell’attore al terzo chiamato.

Diritto bancario

Onere probatorio sulla clausola degli interessi ultralegali nei contratti bancari.

La Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 5369 del 29 febbraio 2024, ha chiarito che l’onere di provare l’esistenza di una clausola invalida sugli interessi ultralegali – previsti in modo indeterminato nei contratti bancari – grava sul correntista che agisce in giudizio nei confronti della banca per la ripetizione dell’indebito ex art. 2033 cod. civ. In tali ipotesi, infatti, non può essere imputato all’istituto di credito, convenuto in giudizio, il mancato deposito del contratto scritto contenente la predetta clausola ma, tale onere grava sull’attore, il quale deve dimostrare il fatto costitutivo della propria pretesa con la produzione del contratto bancario o, in alternativa, mediante altri mezzi di prova.

Il correntista ha interesse all’accertamento giudiziale, prima della chiusura del conto, della nullità delle clausole anatocistiche e dell’entità del saldo parziale ricalcolato.

La Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 6707 del 13 marzo 2024, ha ribadito il principio, ormai consolidato, secondo cui il correntista ha interesse all’accertamento giudiziale, prima della chiusura del conto, della nullità delle clausole anatocistiche e dell’entità del saldo parziale ricalcolato, depurato delle appostazioni illegittime, con ripetibilità delle somme illecitamente riscosse dalla banca. In particolare, la Suprema Corte ha specificato che detto interesse mira al conseguimento di un risultato utile e giuridicamente apprezzabile, che non potrebbe essere ottenuto senza la pronuncia del Giudice; pertanto, la pronuncia del Giudice spiega i suoi effetti nell’esclusione, pro futuro, di annotazioni illegittime, nel ripristino di una maggiore estensione dell’affidamento concesso al correntista e infine, nella riduzione dell’importo che la banca, una volta ricalcolato il saldo, potrà pretendere alla cessazione del rapporto.

Diritto Societario

Annullamento delle deliberazioni assembleari per abuso della regola di maggioranza nelle S.r.l.

La Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 2660 del 29 gennaio 2024, ha stabilito che nelle società di capitali l’abuso della regola di maggioranza è causa di annullamento della delibera assembleare qualora la medesima non trovi alcuna giustificazione nell’interesse della società  (essendo il voto ispirato al perseguimento da parte dei soci di maggioranza di un interesse personale antitetico a quello sociale) oppure nel caso in cui la stessa sia espressione del risultato di una intenzionale attività fraudolenta dei soci maggioritari diretta a provocare la lesione dei diritti di partecipazione e degli altri diritti patrimoniali spettanti ai singoli soci di minoranza. In altre parole, la Corte di Cassazione ha chiarito che, quando il voto determinante del socio (o dei soci) di maggioranza è stato espresso allo scopo di ledere interessi degli atri soci – violando, di fatto, i principi generali del rispetto della buona fede nell’esecuzione del contratto – la relativa delibera assembleare dovrà essere annullata.

Nulla l’opzione put&call collegata a un finanziamento per acquisto di azioni proprie.

La Corte di Cassazione, nell’Ordinanza n. 5264 del 28 febbraio 2024, ha stabilito che il dettato normativo dell’art. 2358 cod. civ., pur consentendo il prestito per l’acquisto di azioni proprie in presenza di specifiche condizioni – come l’autorizzazione dell’assemblea straordinaria e la predisposizione di una relazione illustrativa da parte degli amministratori – stabilisce che la mancata sussistenza di tali condizioni comporta l’applicazione del divieto generale di tali operazioni di assistenza finanziaria, al fine di tutelare l’interesse di soci e creditori alla conservazione del patrimonio sociale. Infine, la Corte ha sostenuto che la violazione di un simile divieto, trattandosi di norma imperativa di grado elevato, comporta la nullità ex art. 1418 cod. civ. non soltanto del finanziamento, ma altresì dell’atto di acquisto, ove ne sia dimostrato, anche mediante presunzioni, il collegamento funzionale di chi intenda far valere la nullità dell’operazione nel suo complesso. In altre parole, la Corte ha stabilito che è nullo il patto avente ad oggetto un’opzione c.d. “put & call” inserito in una operazione volta a fornire assistenza finanziaria da parte di una S.p.A. ai fini dell’acquisto, per tramite di terzi, di azioni proprie in assenza delle condizioni suddette previste ex art. 2358 cod. civ.

Diritto fallimentare e concorsuale

Il potere purgativo del giudice delegato in ordine alla cancellazione di un’ipoteca.

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la Sentenza n.  7337 del 19 marzo 2024, hanno affrontato il tema dell’esercizio del potere purgativo del giudice delegato ex art. 108 L.F. riguardante la cancellazione dei gravami insistenti sugli immobili venduti in ambito fallimentare, e la consequenziale ammissione del creditore ipotecario al concorso, con rango privilegiato, sull’intero prezzo pagato per la vendita (posta in essere dal curatore). Il principio affermato stabilisce che l’art. 108, comma 2, prevede il potere purgativo del giudice delegato in stretta ed esclusiva consonanza con l’espletamento della liquidazione concorsuale dell’attivo (disciplinata nella Sezione II del Capo VI, secondo le alternative indicate nell’art. 107), mentre deve escludersi che la norma possa essere
applicata nei casi in cui il curatore agisca quale mero sostituto del fallito, nell’adempimento di obblighi contrattuali dal medesimo assunti con un preliminare di vendita.

La mancata produzione di documenti nel giudizio di opposizione alla formazione dello stato passivo della liquidazione coatta amministrativa.

La Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 4322 del 19 febbraio 2024, ha ribadito il principio per cui, ai sensi del combinato disposto degli artt. 99 e 209 L.F., anche nella procedura di formazione dello stato passivo della liquidazione coatta amministrativa, nel susseguente giudizio di opposizione, l’opponente, a pena di decadenza ex art. 99, co. 2, n. 4), L.F. è tenuto sic et simpliciter a menzionare nel ricorso – in termini specifici – i documenti di cui intende avvalersi, già prodotti nel corso della verifica amministrativa dei crediti innanzi al commissario liquidatore, sicché, in mancanza della produzione di uno di essi, il tribunale, stante tale richiamo, non generico, deve disporre l’acquisizione dalla documentazione già in possesso del commissario liquidatore, relativa alla fase precedente di verifica ed accertamento dei crediti.

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