Alert - Sentenza n.3976 del 10 marzo 2023 Tribunale di Roma

Vorrei segnalare la recente sentenza n. 3976 depositata il 10/03/2023 (rg n. 13405/2020) con cui il Tribunale ordinario di Roma – X sezione civile ha rigettato integralmente la richiesta da parte di Società nei cui confronti era intervenuta sentenza di Fallimento (di seguito breviter “Fallimento”) di pagamento di somme consistenti nei confronti di Società, controllata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, da me assistita, in qualità di Committente, a titolo di corrispettivi per i servizi previsti nel contratto d’appalto intercorso, oltre interessi moratori ex D.Lgs. n. 231/2002.

Preliminarmente, è stata respinta l’eccezione sollevata ex adverso, contestata dalla nostra difesa, circa l’asserita impossibilità per la mia cliente Committente di opporre alla Curatela gli inadempimenti delle obbligazioni retributive della società in bonis, con specifico riguardo al contratto di specie.

A questo proposito, in accoglimento delle nostre difese, è stato ritenuto che “l’intervenuto fallimento non comporta un mutamento soggettivo del fallito e tantomeno la sua estinzione, bensì rappresenta una modalità di amministrazione affidata a organi responsabili di gestire la crisi e realizzare le finalità che la legge fallimentare si propone. Tra queste le principali sono l’incremento della massa patrimoniale volta al soddisfacimento del ceto creditorio e la salvaguardia delle attività in essere. Ne consegue che, seppur con qualche eccezione, in pendenza della procedura concorsuale, il fallimento, in persona della curatela, rimane soggetto ai rapporti non esauriti sorti prima dell’insinuazione. Con riferimento al contratto di appalto pubblicistico, la regola della continuità dei rapporti giuridici deve essere contemperata con la natura dell’attività. In primo luogo, l’art 81, comma 2, L. fall. specifica che, nel caso di fallimento dell’appaltatore, se la sua qualità soggettiva è stata un motivo determinante del contratto lo stesso si scioglie, salvo che il committente acconsenta comunque alla prosecuzione del rapporto facendo salve le norme relative al contratto di appalto per le opere pubbliche. In questo senso è indubbio che, nell’ambito di una gara pubblica, ove la controparte sia peraltro un RTI, le sue qualità siano determinanti per l’aggiudicazione. Tuttavia, lo stesso codice dei contratti pubblici come modificato nel 2019 e applicabile al caso di specie, si preoccupa della continuità del servizio prevedendo all’art. 104 che il giudice, con la sentenza dichiarativa di fallimento, può autorizzare il curatore all’esercizio provvisorio dell’impresa se dall’interruzione può derivare un danno grave. Altresì, la citata disposizione sancisce che, durante l’esercizio provvisorio, i contratti pendenti proseguono, salvo che il curatore non intenda sospenderli o scioglierli.”

Ciò posto, nel caso di specie, è stato accertato che “il subentro del Fallimento per un periodo di tempo limitato non esclude la responsabilità per le obbligazioni derivanti da rapporti pendenti della società in bonis sia per il citato principio di continuità sia perché la continuazione dell’attività della società risulta essere stata oggetto di specifica volontà della curatela e autorizzazione giudiziale e la stessa ha agito per essere esclusa solo a seguito del subentro della nuova mandataria. Tale circostanza, che testimonia un’effettiva protrazione delle prestazioni contrattuali, consente di evidenziare ulteriormente che, in riferimento ai rapporti di lavoro subordinato in essere alla data di dichiarazione di fallimento, il sistema normativo, in assenza di previsione specifica, è orientato a ritenere che i rapporti di lavoro continuano con l’azienda in quanto tale. Rileva in tal senso l’art. 2119 c.c., comma 2, che prevede che il fallimento dell’imprenditore non costituisce giusta causa di risoluzione del contratto di lavoro proprio in virtù della sopravvivenza dell’ente alla dichiarazione di fallimento, istituto deputato alla gestione dello stesso per finalità liquidatorie. Inoltre, come evidenziato dalla giurisprudenza (cfr. Cass. Civ. Sez. I, n. 18779/2019), anche qualora la curatela non opti per l’esercizio provvisorio dell’impresa ai sensi dell’art. 104 L.fall., il bene giuridico azienda, inteso come il complesso di elementi materiali e giuridici organizzati al fine dell’esercizio di un’impresa, permane poiché la mera cessazione dell’attività, per un periodo più o meno lungo, non implica di per sé il venire meno dell’organizzazione aziendale”.

Sulla base di tali premesse, quindi, il Tribunale ha ritenuto che la Curatela del Fallimento fosse identificabile quale debitrice delle obbligazioni retributive, contributive e previdenziali nei confronti degli ex dipendenti, come sostenuto dalle difese della Convenuta da me assistita.

A fronte del quadro normativo richiamato ai sensi dell’art. 1676 c.c. e 29 del D.Lgs. 276/2003, ritenuti applicabili alla fattispecie in esame, il Tribunale ha peraltro accertato che risultasse legittimo il comportamento in autotutela e conforme a buona fede che la convenuta aveva attuato in via cautelare, sospendendo il flusso dei pagamenti in favore del Fallimento, a fronte degli inadempimenti delle obbligazioni retributive, contributive e previdenziali del Fallimento nei confronti degli ex dipendenti.

In questa prospettiva è stato considerato che il suddetto inadempimento della appaltatrice in bonis prima e del Fallimento dopo integrasse, secondo la volontà espressa dalle parti, una ipotesi di inadempimento grave. Del resto, pur essendo prevista la facoltà per la committente di procedere al pagamento decurtando quanto corrisposto dagli importi dovuti alla controparte, tale facoltà non era in concreto esercitabile in quanto, come correttamente accertato dal Tribunale, risultava dalla documentazione prodotta che numerose erano state le richieste, senza esito, di chiarimento circa la reale portata dei crediti retributivi e contributivi non corrisposti ai dipendenti, né parte attrice aveva nelle proprie difese fatto emergere tale dato o giustificato la propria omessa risposta. La sospensione dei pagamenti da parte della Committente quindi oltre che legittima, è stata ritenuta dal Giudicante necessaria rispetto al concreto rischio di rivalse nei propri confronti nonché a quello di dover impiegare risorse pubbliche ulteriori rispetto ai quantitativi determinati in contratto.

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